Sola andata

Sola andata

domenica 3 gennaio 2021

Fare in tempo a darsi il tempo

 

Non mi sono neppure degnata di andare a vedere che faccia avesse. Il 2021 è arrivato e io non ho ancora messo il naso fuori di casa ad incrociare la sua aria nuova. Nuova malgrado le scarse premesse su cui fonda l'affetto e le speranze che si ripongono in lui. Il tempo è grigio, troppo umido, c’è una brutta luce e questo per me è già sufficiente per smorzare ogni entusiasmo e rinnovata fiducia.

Per fortuna mi è stato possibile non cedere, se non per un brevissimo periodo, alle seduzioni dello smartworking e men che meno all’orrore del pigiama per tutto il giorno. A dirla tutta io non possiedo pigiami: vado a letto con leggings e maglietta così da impormi di cominciare la giornata facendo ginnastica, poi doccia, cazzeggio in rete, trucco, scelta d’abito casuale, pranzo da portare via, oddiocomeètardi, quattro km a piedi, finalmente ufficio. Così, per ciascuno dei miei giorni feriali, tra le 5 e le 7:30, da quando sono l'unica responsabile di ogni scelta del mio quotidiano. Sembra follia, eppure questa replica assurda e sempre fedele a se stessa del momento per me più affascinante e delicato della giornata è ciò che mi ha fatto mantenere la barra dritta anche in un periodo così anomalo. C'è qualcosa di sacro anche in certi rituali così prosaici.

Quando non sono costretta ad uscire, invece, stare a casa è la mia vera festa. La cosa che mi piace fare più di tutto è mettermi sulla cyclette e vedere film, coniugando così la necessità di mantenermi attiva con il bisogno di dimenticare la sensazione che il mio presente sia in realtà irrimediabilmente troppo scarno. In questi ultimi due giorni ne ho approfittato per vedere una seconda volta “Soul”. l'ho trovato un totale godimento dal punto di vista visivo, abbastanza bello nei contenuti, ma troppo già visto e persino discutibile nel messaggio di fondo. Vivere come esperienza pienamente meritevole in sé ha ai miei occhi tutta la retorica del valore intrinseco delle piccole cose che rischiano la mediocrità se non coltivate o animate da una passione sincera. Mah, non saprei, credo che “Coco” resti il mio preferito e “Wall-e” l’acme della sperimentazione più coraggiosa e ardita della Pixar.

Come ci si accontenta di una vita così come quella che mi è toccata nell'anno appena trascorso, senza considerarlo un dramma, ma anzi sentirla come profondamente propria? In realtà non saprei. A me pare abbastanza normale in fondo, e questo pur riconoscendone tutti i limiti e i rischi futuri. Direi che sia una questione che ha a che fare con quello che eri ben prima di tutto quello che hai tentato di scordare o aggiustare nel frattempo: dall’amichetta alle elementari che ti ha tradito e che da allora ti ha fatto smettere di credere alla vera amicizia, da un’educazione repressiva e poco attenta per ragioni che hai capito solo col tempo, da parole dette male o interpretate in modo da scheggiare il cuore per sempre, dalla carenza di motivazione, dalle scelte irreversibili che poi dettano tutto il futuro. L'ideale sarebbe trovare la maniera di lasciar andare tutto questo con leggerezza pacificata, magari ripetendoti come una filastrocca che il passato è passato e si può sempre rimediare, ricominciare, perdonare, comprendere. Si può. anzi, la vera sfida è proprio questa Ma con me funziona bene solo in parte e poi non dimenticare mi aiuta nella cosa più importante di tutte: fare autocritica. Insomma, tutto questo per dire che il 2020 con me ha fatto ben poco se non restituirmi un’opportunità: comprendere che la storia del dolore “capitalizzato” è vera e che il disincanto può costituire persino un piccolo patrimonio di risorse interne che parevano impazienti solo di fare il loro gioco nei momenti più imprevisti. Se ragiono in modo individuale potrei addirittura affermare, non senza imbarazzo, che non sono mai stata meglio proprio grazie a questo tempo isolato, fatto tutto di immaginazione mista a ricordi confusi, di vita ordinaria ma senza contatti forzati, di maturità che non ha avuto rispetto dei suoi canoni “istituzionali”, di tantissimo amore immaginario, impossibile e perfetto, anzi perfetto proprio perché impossibile. La vita che volevo era forse tutta qui, ad aspettarmi per darmi ragione, mettere a tacere voci antiche, temporeggiare ancora un poco nel confronto con la realtà. Chissà.

Delle cose che continuo a salvare ci sono ancora, e non mancheranno mai cascasse il mondo, "Le lettere morali a Lucilio" di Seneca, "Putess' essere aller?" di Pino Daniele, Le danze di Michael Jordan, "Bianca" di Moretti, la mia cheesecake ricotta e cioccolato e la matita per gli occhi.   

E’ il 3 gennaio e io non ho ancora messo il naso fuori per salutarlo. Forse ho paura che sia arrivato soltanto a smentirmi. E a dirmi che ormai potrei anche smetterla. Potrei anche smetterla di avere sempre paura. Finalmente.


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