“Sono venuto a salutarti perché hanno approvato la richiesta di trasferimento e per dirti grazie di esserci stata”. Questo mi ha detto uno dei colleghi con cui avevo legato di più fino a poco prima del covid: con lui ho condiviso lunghe chiacchierate in giro per Milano, chilometri e chilometri di passeggiate lungo la Martesana a confessarci cose come se i nostri reciproci drammi si intendessero reciprocamente sul territorio comune dei traumi mai risolti del passato. Una volta siamo persino andati assieme a raccogliere della frutta in una zona bellissima dell’Emilia dove aveva affittato una casa che usava come deposito per tutte le cose da cui non riusciva a separarsi. Ogni tanto mi capita di avere amicizie fatte così, di fiducia reciproca ben riposta e senza derive tossiche o equivoci, in cui il piacere di raccontarsi incontra quello di condividere esperienze concrete che si cristallizzano inesorabilmente nei ricordi di lungo termine. In quegli anni era anche un lettore di questo diario e così una volta si presentò addirittura con le stampe di certi miei vecchi post perché voleva analizzarli assieme a me. Mi colpì molto e un po’ mi imbarazzò: non ho mai pensato che il mio blog meritasse addirittura degli approfondimenti invece di una rapida lettura giusto per sapere i fatti miei. Siamo stati amici così, senza l’impegno della continuità a tutti i costi ma con il senso profondo del suo significato.
Poi non ci siamo più visti per tanto tempo tra covid, una nuova compagna per lui, lo smartworking unito alla soluzione part time, io che cambio la mia stanza. E poi oggi. Che viene a trovarmi con la pacata familiarità di chi ha conservato i toni confidenziali di un tempo, come se intanto non fossero passati questi anni di assenza reciproca. Solo per dirmi quel grazie così pieno e così inaspettato.
Ho capito molto presto che non avrei mai trovato il lavoro della mia vita, più o meno quando ho scelto la mia strada sapendo perfettamente che mi avrebbe solo allontanato dal mio vero posto. Lo dico senza rimpianto perché in fondo ancora oggi non ho capito quale fosse questo mio vero posto. E poi in fondo posso vantarmi io stessa, come i tik toker contemporanei, di essermi licenziata da un lavoro (pagato il giusto e persino fisso) perché non mi piaceva e volevo fare il dottorato soltanto per ritrovare il mio adoratissimo prof di una facoltà che, è vero, non mi piaceva a sua volta ma che alla fine mi aveva dato molto. Ricordo ancora il coraggio e l’arroganza di quegli anni pazzi e sconclusionati, con quella presunzione priva di fondamento che mi sarei data altre opportunità. Sono arrivate, ma non era mica detto. Le ho desiderate? Credo di no, ma è stato divertente raccogliere la sfida e provare a cambiare.
Non lo so cosa avrei fatto se la mia vera strada l’avessi trovata davvero. Oggi non credo abbia più molta importanza, ma sono molto contenta che alla fine mi abbia condotto fino alla mia stanzetta d’ufficio, tranquilla e appartata, dove un vecchio amico e collega è passato a salutarmi per dirmi poche parole, tutte belle. E che non scorderò
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