Sola andata

Sola andata

mercoledì 25 aprile 2018

“Ma che liberazione/ quanto costa la felicità”

Oggi la giornata era talmente bella che sarebbe stato delittuoso starsene in casa pure quando non si è appassionati di celebrazioni o commemorazioni e quando le folle sono esse stesse motivo di ansia e disagio. Sono stata fuori tutto il giorno, mi sono portata dei panini al farro e una banana che ho mangiato in un cinema che dava un film molto dolce intitolato “Wajib -invito al matrimonio” che racconta, attraverso un conflittuale dialogo padre-figlio, la difficile vicinanza fisica ed esistenziale tra israeliani e palestinesi. Proprio bello. Ho trascorso il resto del pomeriggio tra acquisti di scarpe che forse non indosserò mai oltre ad una maglietta oversize con il faccione di mickey mouse (che invece temo che avrò il coraggio di indossare molto spesso) e poi una lunga sosta ai giardini Montanelli a prendere il sole e a pensare a cosa  rappresenti per me davvero la parola “liberazione”. Mi sono ricordata di cosa scrissi su questo blog riguardo ad un collega molto maleducato. Non mi pentii mai di ciò che scrissi, anche quando scoprii che tutti in ufficio lo avevano letto. Oggi penso che sarei ugualmente severa, nonostante lui nel frattempo abbia voluto chiarire e “fingere” di avermi perdonato per le cose orribili che dissi di lui. Non mi sento una persona cattiva per questo e non credo che si debba necessariamente andare d’accordo o guerreggiare con tutti. Ci si può tranquillamente evitare. Questo è davvero liberatorio, quando ti senti oppresso, offeso, vittima di una prepotenza o di un atteggiamento villano.

Liberatorio è anche non cadere mai più vittima di alcuna forma dipendenza, soprattutto affettiva. Ed è ancora qui, in questa strana forma scritta sempre in bilico tra confessione, sfogo, sensazioni di pancia e di cuore che sono riuscita a trovare qualche chiave. È passato tanto tempo ormai ed è tutto perfettamente passato, ma io di quelle lacrime e di quel cinemino di quartiere al cui ingresso cominciai a raccontare del mio dolore mi ricordo ancora benissimo. Fu esattamente da quel momento
così complicato che cominciai a capire che non avrei mai più permesso a me stessa di reagire in quel modo a dolori di così scarso peso. Devo dire che un cuore diffidente e un po’ indurito è una forma di liberazione ad alto costo...ma è la sola difesa possibile che ho trovato.

Liberatorio è star seduta qui su questo divano comodo ma neppure poi tanto, dopo aver preparato il pranzo di domani, una tisana detox, con la quasi perfetta coscienza di aver raggiunto una visione pacificata di tutto quello che mi capita anche grazie ad un racconto senza riletture, col rischio, puntualmente verificato, di errori ortografici o di punteggiatura e di consecutio...tutto imperfetto come le cose, quelle che succedono a prescindere dal grado di controllo che ne abbiamo in quell’istante.

È stata una liberazione tutte le volte che il coraggio di essere me stessa è stato aiutato dalla possibilità che mi sono data di esprimerlo attraverso una modalità scritta che mi offrisse una chiave di lettura implicita nelle stesse parole che arrivavano a definire gli eventi. Non importa se per arrivare a questo qualcuno si sia sentito offeso e neppure quante lacrime siano state versate. Non me ne importa niente. Ogni liberazione è il prodotto di una battaglia con nemici e posta in gioco variabili.
Io, per sicurezza, me le scrivo tutte



Nessun commento:

Posta un commento