Sola andata

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martedì 10 aprile 2018

Ma il Manifesto è partito? Sì, ma poi torna, fidati

Eccomi arrivata indenne al mio primo martedì post vacanziero. Come prevedevo sono tornata ai ritmi di sempre e ho provato ad attutire il trauma da rientro con la consolatoria illusione di avere una capacità di adattamento immediata e spontanea come quella di un saggio emancipato dall’incubo delle passioni. In realtà è che non ho molta scelta e non credo nel valore terapeutico del lamento. Sono ritornata a correre con i miei compagni di running e ho visto dei film a cui non riesco a smettere di pensare. Quello di ieri, che ripercorre il periodo giovanile di Marx fino alla genesi del “Manifesto del partito comunista”, mi ha letteralmente folgorato.

Io ho sempre votato comunista, almeno fin quando mi è stato possibile trovare nell’urna un simbolo che tentasse di rappresentarlo e ciononostante non ho mai pensato neppure per un istante, neppure da giovanissima, neppure prima di studiare economia per capirci almeno tre cose, mai, dico mai, ho pensato che rappresentasse altro dall’utopia. Per me il comunismo è come l’amore: so esattamente cosa sia, ne ho avuto qualche volta  una vaga e imperfetta percezione, c’ho pianto, mi sono fatta una ragione della sua irrealizzabilità nella mia vita, ho provato a viverlo come atto di fede e personalissima religione laica.
Oggi, con quello che mi rimane di una formazione irrimediabilmente keynesiana, so per certo che i sistemi economici che sempre mi augurerei sono quelli basati su economie miste con un meccanismo di regolamentazione pubblica dei mercati finalizzato a redistribuire le risorse in modo equo, dignitoso per l’intera collettività e razionale. Non ho mai pensato che la proprietà privata sia un furto (come voleva Proudon, “padre” del pensiero di Marx) o che il profitto sia sempre sinonimo di sfruttamento, trovo che i sindacati abbiano perso quasi integralmente la loro funzione originaria, mi piace pensare che ci sia una meritocrazia premiante e un sistema competitivo sano in cui si produca valore e crescita. Credere in tutto questo può ragionevolmente voler dire non essere comunisti. Direi di sì, ma io  voterei ancora comunista se potessi e lo farei non per le ragioni ideali che mi muovevano da ragazzina ma per il motivo esattamente opposto. Marx, nel suo sforzo di capire le cause della povertà in un mondo che esplodeva in produttività e benessere solo per ristrette classi, era ossessionato dalla ricerca di un metodo rigoroso fondato su leggi teoriche inattaccabili e, soprattutto, lo animava l’urgenza di diffondere una coscienza collettiva per rivendicare dignità umana e non merce di scambio svalutata. E poi c’era la rivoluzione, come fatto necessario e unica possibilità di riscatto, e tutto un nuovo sistema di valori che come uno “spettro” si aggirano per l’Europa. La sua era una perenne lotta contro l’ignoranza come unico mezzo di affrancamento. Questo, di tutto, è il messaggio che mi piacerebbe raccogliere per svegliare anche me stessa dal mio torpore.

Forse mi sono fatta prendere dall’entusiasmo di un bel film visto rigorosamente in lingua originale. Io non mi sento sfruttata, trovo accettabile persino il dislivello enorme tra il mio stipendio lordo e quello netto, fuggo da ogni forma di litigio o di disarmonia con il prossimo e non credo nello sciopero . E, a dirla tutta, non credo neppure che inciamperò mai nell’amore vero. Ma per fortuna io non faccio “massa”...






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