Sola andata

Sola andata

lunedì 4 giugno 2018

In tempo reale

Stavo diventando matta. Sono rimasta per quattro giorni senza i giga sufficienti per aggiornare in questo spazio quella parte di fatti miei che provo a trasformare in significato e poi, sperabilmente, in tracce di ricordo. Mi sono sentita troppo sola. E poi mi sono successe delle cose che avrei avuto voglia di raccontare come il fatto che per la prima volta, da quando vivo in questa casa, abbia deciso che sia arrivato il momento di cercare una casa più grande e in una zona più centrale e che, come sono solita fare quando mi lascio possedere intensamente da un’idea, ho contattato una particolare agenzia di compravendita immobiliare di cui ho sentito parlare a radio 24 per chiedere come avrei potuto vendere in fretta questa casa. Mi hanno risposto immediatamente. È davvero strano: amo questa casa come se l’avessi costruita con le mie mani, non mi sono mai pentita di averla scelta, di tutto quello che mi ha richiesto adattarla a me e al mio starci dentro, trovo che sia una prova d’amore persino la sopportazione della terrificante umanità che mi abita in testa e pure intorno per le più assurde ragioni. Non mi è mai parso strano vivere in uno spazio così ridotto, ma ormai credo che sia arrivato il momento di pensare ad altro e altrove. Mi stupisce sempre molto il mio legame con le cose (o le case) e i luoghi in cui vivo ma mi fa ancora un immenso piacere costatare che continui ad essere questione non vincolante quando tento di delinearmi un nuovo orizzonte. Chissà, vedremo.

Durante questi tristi giorni a connessione lenta ho provato a fare così: mi sono armata di un taccuino e una penna e sono uscita con l’intenzione ferma di prendere appunti su qualcosa che avrei trovato meritevole di essere raccontato. E l’ho trovato. Riporto fedelmente:

“Sono ala capolinea del 66 in largo marinai d’Italia. Ad aspettare con me ci sono due adolescenti. Lei lo abbraccia e gli dice “allora?..che mi racconti di bello? Ma ti rendi conto, è un anno che non ci vediamo”. E lui “Ah niente di speciale” . Lei “Ma mi vedi cambiata?” Lui “...No...” Lei “fisicamente
sì, però”. Lui è piuttosto incerto, imbarazzato e di poche parole e mi pare di notare in lei una certa delusione.
Sull’autobus lui rimane silenzioso lei guarda fuori dal finestrino. Nessuno parla. Lui smanetta col telefonino. Dopo un paio di minuti lei gli posa la testa sulla spalla e gli propone un giochino da fare assieme. Io continuo ad osservarli dal vetro che li riflette e penso che ci sono passaggi obbligati che tutti noi ci saremmo risparmiati. Col senno di poi”.

È stato in fondo pure divertente prendere appunti dal tempo reale piuttosto che rivolgere lo sguardo allo schermo per ingannare attese senza sorprese. Ma non succede poi così spesso di cogliere il senso di tutto quello che mi succede sotto gli occhi. Preferisco il filtro distorto di mondi che lascio apparire e scomparire a mio piacere, che stiano li già pronti con le loro trame già scritte, con passaggi di stato repentini, senza silenzi imbarazzanti, abbracci non corrisposti, sguardi che non si soffermano abbastanza, case da cambiare o anche la sola incapacità di cogliere davvero tutta la varietà del mondo.

La carenza di giga mi nuoce abbastanza gravemente. E, col senno di poi, credo che ormai non valga davvero la pena rimanere senza


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