Sola andata

Sola andata

domenica 17 giugno 2018

Ma cosa mi racconto?

Sì, in effetti credo di aver conosciuto tempi migliori. Sono un po’ nervosa in questo periodo. Eppure non mi è successo niente di troppo diverso dagli ultimi due o tre anni. Però è così e da quando accarezzo sempre più convintamente l’idea di cambiare casa mi pare che tutto qui dentro sia causa di irrritazione. Anche fuori, a parte le mattinate a correre e le intere giornate chiusa nei cinema o a camminare per conto mio nei parchi, mi sento piuttosto poco accogliente. Persino stamattina. Erano le sette e il vicino ha messo i canti della chiesa, o di chissà quale religione a me sconosciuta, a tutto volume e io gli ho urlato di mettere più piano. Mai avrei pensato di fare una cosa simile anche soltanto un anno fa e invece da quando odio quegli orribili bambini pachiderma che fanno sempre chiasso il mio lato peggiore si manifesta con eccessivo orgoglio e una preoccupante frequenza. Non mi piace, non mi piaccio io quando mi comporto così, ma che altro posso fare per pretendere un po’ della pace che mi viene indebitamente sottratta...

Stamattina è così. Mentre scrivo sono le nove trenta del mattino. Ho sbrigato un po’ di faccende domestiche, fatto un piccolo bucato a mano, preparato la colazione e una enorme insalata per il pranzo.  Di solito queste attività mi piacciono solo per un un’unica ragione: le faccio pensando a qualcuno a cui voglio bene. Soprattutto quando cucino. E non importa se manchino del tutto le condizioni per cui quel piatto arriverà ad essere testato dall’inconsapevole invitato. Pure quando tiro a lucido la casa lo faccio perché immagino di aprire la porta e garantire degna accoglienza, sempre ad una persona precisa. Mi succede anche quando leggo un libro, o compro un abito nuovo o se cerco un prodotto tra gli scaffali di un supermercato. Pure quando scelgo un film da vedere. Ho sempre bisogno di sapere che cosa ne penserebbe il mio qualcuno di turno.
Purtroppo spesso mi ritrovo a muovermi con altro piglio, come quando arrivo in ufficio e la prima cosa a cui penso è tenere la porta chiusa, isolarmi con le cuffie e sperare che nessuno venga ad interrompere il mio splendido isolamento tra scartoffie, podcast di radio24, pausa pranzo con annessa contemplazione del condomino di fronte. Ma poi succede anche tutt’altro, che se possibile, mi piace ancora meno. Per esempio succede che ddlle amiche trovino normale raccontarmi dei loro amori non corrisposti (ma perché proprio a me che in materia sono una incompetente totale? E invece non mi salvo lo stesso) e io vorrei dire semplicemente “ma perché credi di avere qualche speranza? A me basta una frase sbagliata, un piccolissimo equivoco, una minimissima dimenticanza o distrazione perché mi sia tutto chiaro e senza possibilità di recupero. I legami veri, profondi, sensati sono fatti di dettagli in assenza dei quali è solo vaga frequentazione. E su quella si può anche non investire alcunché”. Io però non dico mai nulla, non spezzo illusioni salvifiche, ascolto e penso “meno male che mi sono organizzata con l’immaginazione e che il mio qualcuno di turno, pure se esiste e mi regala a sua insaputa la voglia di fare le cose, non è davvero mio”. Alla fine è questo il solo modo che ho di garantirmi che non ci sia nessun’altra, che ci si capisca davvero e che non si litighi mai...e a me il solo pensiero che tutto questo sia anche soltanto pensabile mi restituisce una tale energia che quando torno alla realtà, quella fatta di vicini rumorosi, un lavoro che a volte mi snerva, delle buste della spesa troppo pesanti...e dei troppi film, non sono più così amareggiata.

Sì, credo che il potere dell’immaginazione sia davvero tale quando si traduca in energia vitale, in azioni positive dettate dall’amore anche solo pensato, quando ti allontana da una realtà che non ti rende tollerante verso cose e persone che compongono la tua ordinaria condizione esistenziale.
Sì tutto questo. Quasi tutto, perché per me l’immaginazione è “in realtà“...nel senso che è la mia sola maniera di tenermi agganciata alla realtà rendendomela più o meno accettabile.
Con buona pace di tutti i “qualcuno” sbagliati che ho reso perfetti con bugie tutte accuratamente scelte soltanto da me. Che fortuna!


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