Sola andata

Sola andata

venerdì 22 dicembre 2017

Dove sono rimasta?

"Lucia, come mai non hai più voglia di organizzare viaggi?". È una domanda legittima se fatta da chi mi conosce abbastanza e confidi nella mia capacità di gestirmi, non certo se a manifestare questa curiosità sia mio padre, che crede che muoia travolta da una panda spinta da un nano quando decido di andare in bici al lavoro.
In effetti negli ultimi due anni non è piu una mia priorità evitare parte del rigido inverno milanese con un po' di vacanze in posti caldi, piuttosto comincia a dispiacermi stare lontana da questa città, da questa casa che con oggi fanno esattamente otto anni che c'ho messo piede, mi pesa interrompere le attività che mi scelgo e che richiedono continuità. E poi non voglio più scappare da niente. Forse è questa la vera risposta.

Stasera, rientrando dal lavoro, c'era ancora per terra il tappetino sul quale faccio i miei strani esercizi del mattino, quelli con la famigerata Rebecca, e un po' di meditazione o di rilassato ascolto di musica per canalizzare l'energia per la giornata. Amo quel faticoso rituale, il caffè con la moka pronta dalla sera prima, gli integratori, la doccia bollente, poi gelata e poi di nuovo bollente e ancora gelata...amo queste mattine  tutte buie, il ghiaccio sull'erba, via Mecenate completamente illuminata dalle lucine intermittenti dei balconi condominiali, le cuffie, gli occhi che finalmente mettono a fuoco il contesto, il respiro che condensa, la mia camminata verso il lavoro che faccio partire tremando per poi arrivare sveglia e riscaldata. Chi me lo fa fare di cercare dell'altro? Mi aspettano quattro giorni di festa e ho una pila di libri da finire e il pranzo di Natale già pronto da scongelare. Avrò la mirabile opportunità di poter scegliere di tenermi lontana da tutto ciò che è inutile, convenevole, rituale, di passeggiare molto o chiudermi in un cinema. Tutto questo senza mai desiderare di trovarmi altrove o con qualcuno.

Non è sempre stato così e non è stato indolore provare a capire cosa non funzionasse. L'inverno è una stagione silenziosa, forse concepita per la riflessione e la pianificazione. A me, nel periodo di temperature minime, si gonfiano sempre le mani così tanto da "esplodere" in piccole ferite che sanguinano per mesi e mesi fino a quando le temperature non riattivino la circolazione: una vera tortura di cui per fortuna non sono ancora vittima quest'anno. Come se non bastasse la mancanza di luce favorisce forme sottili ma insidiose di tristezza. Oggi penso che forse la cosa veramente interessante sia proprio questa sfida: attraversare una stagione difficile vivendola dal suo interno, e dal proprio interno: stare bene da soli, parlare poco, godere anche dell'oscurità e del suo mistero, accogliere la malinconia come uno stato d'animo intenso e non la parente stretta della tristezza. Se le mani dovessero gonfiarsi di nuovo, pazienza, passerà di nuovo...Perché dovrei scappare da tutto questo per una "vacanza" che per sua stessa definizione non serve a colmare vuoti ma a crearli?

Avrei voluto spiegare al mio papà che i viaggi sono una bella cosa quasi sempre, pure quando a farli ci muova una specie di smania, di inquietudine sorda a cui non si sa dare da subito un nome. Gli avrei confessato che io forse ho sempre preparato le mie valigie guidata da un simile spirito illudendomi di tornare senza più questioni irrisolte. Gli avrei detto che oggi sono tranquilla, che mi piace questo inverno, mi divertono le mie mattine ad alto impatto e certe persone simpatiche con cui mi confronto, che non voglio più spostarmi dal mio posto destinato senza sapere prima da cosa mi stia davvero allontanando.
Avrei potuto. Invece gli ho detto che ci sarebbe un tour in Islanda di slow trekking per ammirare l'aurora boreale, abbastanza caro e molto faticoso, e che deciderei di andarci soltanto se ci venisse anche lui (che tanto figurati se mi dice di sì).
 E lui mi ha risposto, pieno di entusiasmo, che ci verrebbe molto volentieri...








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