Sola andata

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domenica 3 dicembre 2017

La rivoluzione fraintesa

Ci siamo dentro tutti. Persino io, che ne sono fuori da anni. L'atmosfera natalizia, che il marketing fa partire da ottobre per montare per tempo tutte le ansie da prestazione celebrativa, prima ancora di alberi e presepi, è già respirabile con pieno affanno. Sono anni che non torno a casa per le festività natalizie, che non faccio regali, che i miei addobbi domestici si limitano ad un albero e un presepino che stanno in una mano e che mi mettono molta allegria. Rimane anche per me il momento più bello dell'anno perché non ho nessuna incombenza e mi limito ad osservare lucine, rincorse ai regali, preparativi per pranzi pantagruelici senza il minimo coinvolgimento diretto da parte mia. Più o meno per le stesse ragioni non considero utile fare bilanci di fine anno o liste di buoni propositi: ho fatto quello che ho potuto e continuerò a fare quello che posso...mi pare una risposta sufficiente per entrambe le questioni...

Ieri ho visto una mostra bellissima sulla rivoluzione culturale che ha coinvolto in varia misura buona parte dell'occidente e dell'oriente tra il sessantotto e la prima metà degli anni settanta. Al netto dell'aura magica di cui ho da sempre investito quell'epoca, devo dire che poi in realtà un po' mi spiego pure i meno favolosi anni '80 che seguirono. La rivoluzione culturale fu il prodotto di un conflitto estremo tra tutte le forze sociali e il potere, declinato in tutte le sue forme. Il risultato fu un deflagrare meraviglioso e totalmente ingestibile di creatività, nuovi modi di immaginare il mondo e l'ambizione di riscrivere la storia e la condizione umana. Buona parte di quel progetto si è sgretolato per la fragilità delle sue stesse fondamenta, molta parte ha però resistito e contribuito alla creazione di una coscienza davvero nuova che ha potuto affermarsi grazie a progetti concreti o leggi, cioè in sostanza tutto quello che è poi riuscito ad innestarsi in una società regolamentata e ad impronta borghese. Insomma, al netto delle nuove forme dell'arte, un mezzo flop per il mondo nuovo che si proponeva di realizzare. Ma tant'è e la mostra rimane molto suggestiva.




Io direi di essere il prodotto di un'educazione piuttosto repressiva, della quale non butterei via proprio tutto, nel senso che credo che lo spontaneismo possa creare altrettanti danni di un'educazione irregimentata. Credo che sia questo il prezzo pagato dal "sessantotto e giù di lì": la creatività che si oppone alla prepotenza di un'istituzione paternalistica che ha la pretesa di decidere tutto, persino il quotidiano di ognuno, dovrebbe essere accompagnata da un metodo e una disciplina a sua volta, per darsi delle fondamenta solide. Altrimenti non regge o è facilmente attaccabile.
Io non mi sono mai ribellata, non lo trovavo utile e non ne avevo la forza. Ho assecondato, mi sono fatta piacere cose che non mi piacevano e ho sperato che un giorno avrei fatto quello che mi interessava senza passare per il conflitto o l'obbligo di avvisare qualcuno. Sapevo che sarebbe necessariamente andata così come sognavo...se non altro perché non avevo neppure voglia di diventare una povera squilibrata. E in fondo è andata così se oggi posso persino permettermi di sorridere del Natale, di dribblare cenoni e finti auguri, pur rimanendo perfettamente a mio  agio tra le luci, la folla, le canzoncine, le tredicesime...

E così stasera ho pensato che ci sono tanti modi di fare la rivoluzione. Ci sono quelli urlanti, pittoreschi, costruiti dalla massa e destinati ad entrare nel mito ma pure al setaccio della storia. E poi ci sono quelli silenziosi, fatti di finta adesione a modelli totalmente alieni e fondati su una inattaccabile convinzione che inevitabilmente le cose cambieranno. Solo un occhio poco attento penserebbe che questa sia mera sottomissione. La capacità di adattamento ai miei occhi  è una forma costante di rivoluzione.
Io non mi sto preparando al Natale. Ma forse è solo un'impressione...
Happy Revolution!




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