Sono appena rientrata a Milano. Il viaggio è stato piacevole e tranquillo, trascorso tra un libro molto interessante che ho terminato, social zapping, due chiacchiere in chat col mio ormai “fidanzato virtuale” di Instagram, ovvero il simpatico fanciullo italo inglese che vive qui, che mi dice cose carine e che vorrebbe conoscermi. Ma a me bastano i suoi adorabili complimenti e le cose buffe che “azzarda” per fare effetto sulla vanità di una signora troppo solitaria e ormai attempata che tenta di conservarsi come può. Il corteggiamento è una cosa troppo dolce (e purtroppo superata) per interromperla con la prosaicità di un incontro che guasterebbe ogni mia fantasia e di certo anche le sue ingenue aspettative.
Le mie vacanze a casa sono state belle e “giuste” tra mare, pace domestica, distanziamento sociale, sport all’aperto e tanto meraviglioso cibo. È durata il necessario, sono pronta all’ufficio, alla familiarità dei miei tragitti a piedi, alla routine rassicurante ma a modo suo sempre “progettuale”, disposta a pianificare, rinnovare traguardi. E poi, su tutto, mi ostino a continuare a sperare che la salute permanga nonostante quello che vedo e che sento ovunque rivolga attenzione mista a perplessità. Non sono così egoista da pensare che stia andando tutto bene solo perché non ho motivi miei per lamentarmi: ovunque sposti lo sguardo mi ritrovo incendi, terremoti, disastri provocati da una natura che ha smesso di perdonarci, guerre che pensavamo concluse e che invece si rinnovano con tutta la loro ferocia repressa, contagi. Il tutto spesso condito da forme esasperate di solitudini insopportabili. Non è necessario dirsi pessimisti per sentirsi legittimati a credere che questa non sembri essere l’epoca più promettente della storia umana. Avere fiducia è doveroso, ma essere realisti è uno sforzo altrettanto necessario per riconoscere i problemi e approntare soluzioni efficaci.
Gli elenchi non mi sono mai piaciuti. Li trovo inutili e retorici in quanto frutto di forzate semplificazioni e quindi espressioni di un pensiero poco articolato. Eppure qualche volta mi piace, cedo alla tentazione degli elenchi numerati, del questo dentro e questo fuori, come il ricettario di un mondo in cui sia lecito scartare quello che non ci piace e tenersi come ingredienti principali tutto quello che per noi restituisce davvero sapore alla vita. E così ho pensato che ogni tanto lanciarsi di getto a fissare le prime cose belle che vengono in mente possa fare proprio bene pure se non sei Woody Allen o David Foster Wallace.
Credo di non aver omesso nulla. Ma allora è facile! Evviva
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