Sola andata

Sola andata

venerdì 4 maggio 2018

La mia piccola area di bassa pressione

Lo sapevo. Non avevo neppure un dubbio piccolo così. Oggi mi sono presentata al policlinico per donare il sangue ma ormai so benissimo quando i miei valori non sono nell’intervallo da sana e robusta costituzione. Ne ero così certa che quando ho avvisato l’ufficio ho precsisato che probabilmente non avrei potuto donare e che quel giorno lo avrei convertito in richiesta di ferie.
Maggio mi fa questo effetto: la pressione va a picco così tanto che ogni volta che mi alzo troppo velocemente dalla sedia ho bisogno di appoggiarmi alla parete, cercare l’equilibrio e risentire della vista appannata per qualche secondo. Ormai lo so e gestisco la situazione senza spaventarmi, anzi, quel momento di mancamento, coi sensi appannati, quel temporaneo abbandono prima di riavermi mi dà l’illusione di uscire per un momento dal mio stesso peso, il solo del quale non ci possiamo liberare per tutto l’arco dell’esistenza. Trovo che questa sensazione sia quasi un privilegio.

Quando sono uscita dall’ospedale il cielo era grigio, piovigginava e io avevo un po’ freddo. Piazza Duomo era silenziosa e semidesertica e io me ne sono stata in uno dei suoi angoli a contemplarne la pace non ancora intaccata da turisti e gente che procede di fretta. Poi mi sono ricordata che non era previsto che avessi così tanto tempo a disposizione e che senza l’ombrello non avrei fatto molta bella strada. Così ho pensato di tornare in un posto che non frequento più così spesso come un tempo. Sono stata alla biblioteca Calvairate: piccola biblioteca in un quartiere abbastanza disagiato, vicino al mio ufficio, frequentato soprattutto da anziani e signore un po’ folli che credo che la vivano come antidoto alla solitudine. Ho dato una scorsa ai giornali, chiacchierato un po’ con i bibliotecari che non mi vedevano da tempo e ho aspettato di avere molta fame prima di provvedere al pranzo. Mi sono sforzata di stuzzicare l’appetito fino a che ho potuto perché ho ricordato quello che ha detto Pif, che ha digiunato per tre giorni per godersi la pizza a Napoli di “Michele”. Che modo pregevole di mettere in risalto il valore premiante dell’attesa.

Nel pomeriggio sono andata alla IPSOS per discutere su alcune campagne pubblicitarie di famose caramelle alla frutta. Pare che il crollo delle vendite sia dovuto agli smartphone perché gli acquisti cosiddetti d’impulso necessitano del richiamo visivo dell’oggetto...e se uno gli occhi li tiene bassi non cade in tentazione (e chissà quanto altro si perde...) e a me è parsa una correlazione interessantissima pure questa.
Sono rientrata in casa verso le diciotto, c’era il sole, non ero più fiacca come stamattina e pensavo al privilegio per nulla scontato di aver goduto del silenzio di una piazza magnifica, del contesto familiare ma decisamente “outsider” di una piccola biblioteca di un quartiere disagiato e, ”last but not least”, di un pranzo semplice ma consumato quando il corpo era convintamente predisposto a farlo.
E poi ho pensato a questa città, alla sua frenesia e ai livelli di pressione e di ferro nel sangue che richiede per farsi meritare ma che io spesso proprio non raggiungo. E mi sono detta che è davvero gentile da parte sua fingere di non notare i miei “valori” un po’ sballati. Ma in fondo solo ogni tanto. Grazie, grazie, grazie



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