Sola andata

Sola andata

venerdì 25 maggio 2018

La musica non è cambiata. Sono io a non averla mai ascoltata

È una domanda che mi ripeto ogni tre o quattro anni. Sempre la stessa che applico a poche questioni su cui provo a delineare le traiettorie possibili del mio incespicare su questa terra. Di solito succede di primo mattino, dopo che ho messo la moka sul fuoco e sono ancora in quel limbo di semiincoscenza, curiosità per il nuovo giorno e i piccoli obiettivi a cui tendere entro la fine della giornata. Ogni tre o quattro anni io mi chiedo “ma ne valeva davvero la pena?”. La domanda di solito sottindente ragioni non generiche perché in realtà ho in mente faccende precise che vanno dal lavoro, al luogo in cui potrei forse vivere per sempre, alle persone a cui ho voluto bene. Di tutto il resto accetto il ruolo predominante che ha spesso avuto il caso rispetto alla mia volontà provando ad accettare, adattarmi, cogliere le opportunità, imparare cose nuove.
Sono a Milano dal 2009 e ho abitato per i miei primi tre mesi da un signora che era stata appena lasciata dal marito dopo 40 anni di matrimonio. Fu una strana esperienza di cui in realtà non conservo molto. Ricordo che quando salutai quella donna per venire ad abitare nella casa in cui vivo ora le dissi che ho un problema nel conservare i rapporti ma che avrebbe potuto contare su di me se avesse avuto bisogno. Ogni tanto mi manda dei messaggi e mi dice che la piantina che le regalai sta ancora bene.
Da allora ho cambiato ufficio, conosciuto di persona i miei beniamini radiofonici, partecipato ai loro raduni, provato a rendere il mio bilocale anonimo in qualcosa che mi somigliasse il più possibile. Per tutto questo tempo ho svolto un lavoro che amo nelle condizioni e un po’ meno nei contenuti, ho frequentato uomini che non hanno lasciato traccia assieme ad altri che mi hanno fatto capire che forse  quello che cerco non sarò mai in grado di trovarlo. Spesso ho semplicemente capito tutt’altro. Ma poi ho capito e c’ho molto riso sopra.

“Ma ne valeva la pena?”

Oggi sono stata al planetario per una cosa bella tenuta da Matteo Caccia, uno dei beniamini di cui dicevo sopra. Non lo vedevo da anni eppure mi ha salutato. Ricorda persino il mio nome. E io alla fine mi commuovo con poco.
C'è di buono che ho ancora degli abiti di allora che ancora mi stanno, non proprio bene come allora, ma ci sto ancora dentro. Nel frattempo mi sono concessa viaggi molto belli e, a parte il ferro, continuo a godere di ottima salute. Negli ultimi otto anni ho sostanzialmente badato a me stessa e imparato a non dipendere da nessuno. A volte questo mi pare decisamente un po’ poco, altre invece eroico.

“Ma ne valeva la pena?”

Come si fa a rispondere? Su una mensola ho una raccolta di cd di musica classica che sono ancora quasi tutti nel cellophane. Li comprai tantissimi anni fa, intorno ai vent’anni, perché avevo sentito che quando una donna rimane incinta deve ascoltare quel tipo di musica perché il cervello del bimbo si sviluppa meglio. O qualcosa del genere. Che sciocca gretta che sono.
Come si fa a rispondere? Alla fine potrei affermare di sì, ne valeva la pena.
 Non fosse altro perché continua a piacermi la moka al mattino e quell’attesa che costringe agli interrogativi più assurdi e inutili.
E perché ho qui con me della buona musica ancora tutta  da ascoltare da più di vent’anni. Credo che sia arrivato il momento. Pure senza aspettare nessuno.

Ma sì che ne è valsa la pena



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