Sola andata

Sola andata

mercoledì 4 marzo 2020

lasciarsi “influenzare”

L’impegno di un diario che non ha l’ambizione di essere quotidiano, ma abbastanza frequente da lasciare traccia di fatti utili come materiale di riletture e interpretazioni, trova in questo periodo degli approdi quanto meno scontati. Vivo immersa da giorni in una specie di bolla che tiene sospesa una umanità suddivisa tra catastrofisti terrorizzati che passano tutto il loro tempo ad avere paura immersi in un isolamento sempre più rigido e persone più ragionevoli che tentano di adottare tutte le  cautele mentre provano a continuare a vivere coltivando interessi e fatalismo. Io ho deciso di assecondare questa seconda forma di eroismo a buon mercato: mi lavo proprio come ho sempre fatto, mantengo una prudente distanza dalle persone, perché di solito non ho la voglia irrefrenabile  di buttarmi addosso a chiunque, starnutisco persino nei fazzoletti anche se mi sarebbe consentito di farlo pure sul mio braccio, non frequento luoghi affollati perché mi piace mangiare a casa mia, non vado a messa e per fare sport non ho bisogno della palestra. L’unico posto a cui ho dovuto rinunciare è la sala cinematografica, la stessa in cui negli ultimi anni ho dovuto chiedere sempre di tenere spento il cellulare, mentre le mie piattaforme sull’ i pad mi consentivano visioni illimitate da qualunque punto della mia casa e nel più perfetto silenzio e benessere. Vorrei poter dire, sulla scorta di un comune sentire, che questo è un periodaccio. E di fatto lo è. È solo che la mia epica individuale, come spesso accade, rimane disallineata a quella collettiva fin quasi a contraddirla del tutto. Che colpa ne ho? In realtà anche io risento di alcune fondamentali mancanze, come gli amatissimi corsi sul cinema che continuano ad essere posticipati, le biblioteche chiuse, la vitalità di certe strade che ora vedono negozi chiusi e poco movimento. Ma in qualche modo sono persuasa che si tornerà alla normalità e a nuovi assetti. Resterà ciò che davvero conta, migliorerà la sua qualità, si troveranno nuove strade.

Io vivo la condizione privilegiata di chi fa un lavoro non soggetto all’aleatorietà di eventi come questo: continuo a lavorare anche col pubblico come se non avessi gli stessi rischi di un ristoratore. E mi sta bene. Ma allora perché mettere in ginocchio intere categorie produttive senza preoccuparsi delle ricadute irreversibili che questo potrebbe comportare? Ma certe domande possono solo attendere i fatti al netto di ogni più plausibile congettura.

La mia vita ai tempi del corona virus ha cambiato di pochissimo i suoi capisaldi irrinunciabili, continuo a non aver paura e provo a riflettere un po’ meglio sul senso del mio ostinarmi a vivere in questa città che reagisce alle cose in un modo così differente dal mio. Non ho imparato nulla? Oppure qualcosa è davvero cambiato? Possibile che a casa mia non potrei vivere come faccio qui? Forse non è il caso di chiedersi tutte queste cose proprio adesso. Sono sicura di aver ancora bisogno di stare in questa città a sentirmi fuori luogo molto meglio che in qualsiasi altro posto al mondo








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