Sola andata

Sola andata

lunedì 18 maggio 2020

Da dove ricominciare?

Tocca che lo faccia anche io. Non mi perdonerei di non aver congelato il momento topico del ritorno alla normalità, dopo giorni che sono parsi il passaggio di ere geologiche. Confesso che ero volutamente impreparata e che mi sarei fatta suggerire dalle sensazioni del momento su cosa avrei fatto nel mio primo giorno di liberi tutti. Ho cominciato come quando non mi era concesso di fare quasi nulla oltre il mio uscio: bevendo tanto caffè, scongelando una fetta della mia magnifica torta con curcuma e cioccolato e bevendo altro caffè. Mi sono vestita come una diciottenne e sono andata a piedi fino a viale Umbria per fare la spesa. Era ancora molto presto e non ho avvertito l’euforia di una città che si riaffaccia alla vita precedente con l’entusiasmo liberatorio di chi vuole recuperare il tempo perduto. Sono rientrata con  un autobus meravigliosamente vuoto e con una luce ormai decisa che non ha favorito di molto il rompere di un silenzio ancora piuttosto dominante. Ho pranzato con un’insalatona in cui ho messo dentro qualunque cosa e pensando con felicità al corso on line su Hitchcock che mi aspettava stasera. Poi sono uscita di nuovo. Con quelli di stamattina ho macinato complessivi 21 km. Una mezza maratona direi.

In ufficio non posso ancora andarci. Ho cercato di capire cosa fosse cambiato per me nella giornata di oggi. Per la verità tutto. Tutto in ogni piccola cosa identica alle precedenti che ho fatto in questi giorni. E così, anche se non l’ho fatto proprio oggi, mi piace pensare che finalmente potrò di nuovo andare da Starbucks a bere i cappuccini strani accompagnati alla carrot cake e la panna. Mi basta sapere che sia di nuovo aperto. Ho lavato i piatti ripensando a quella volta in cui ho capito a come per me la gelosia sia sempre stata figlia di un amore troppo limitato rispetto a quello che avrei voluto ricevere e condividere e che se mai dovessi provarla ancora dovrei soltanto andar via di corsa. Ho ricordato quale  sensazione di assoluta libertà si possa raggiungere anche quando fuori apparentemente tutto appaia congelato in una ciclicità assurda nella sua banalità. Oggi è stato tutto così: una giornata di raccordo tra un passato e un presente che si scazzottavano amichevolmente mentre mi suggerivano di non pianificare ancora nulla. Perché tanto c’è tutto il tempo.

I capelli non hanno per il momento nessuna urgenza di un parrucchiere e ancora non ho libero accesso all’ufficio. Qualche volta mi capita, stranamente, di ricordare cosa ho sognato la notte precedente e mi sono resa conto che si tratta di un sogno ricorrente: ci sono io, adulta, che tengo in braccio me stessa appena nata. Che strano.
In giro c’è poca gente. Questo per me è davvero stranissimo perché pensavo di essere tra i rarissimi a considerare la clausura una condizione preziosa di crescita e di autovalutazione e invece a quanto pare non solo io  vivo di silenzio e di ascolto senza contraddittorio. Ci si sente meno soli anche così. Ricorderò per sempre questi tempi lunghissimi all’aperto e nel silenzio di una città che ha cambiato tono così all’improvviso.

Cosa sta succedendo a chi è davvero in difficoltà, che forma ha il dolore di questi giorni così strani che sembrano lasciarmi ancora qui senza nulla pretendere? Comincio a sentirmi in colpa. Ma non so per cosa, di preciso, chiedere scusa

Nessun commento:

Posta un commento