Sola andata

Sola andata

martedì 5 maggio 2020

Fuori (dalla) fase

E così da ieri qualcosa è finalmente cambiato. Dopo un mese e oltre di clausura pressoché totale, da ieri per molti di noi è possibile ritornare laddove si era rimasti e/o da chi ci si era involontariamente allontanati. Per me non è cambiato molto, anche se la lunghissima passeggiata di ieri pomeriggio, ritrovando il percorso familiare che di solito copro correndo è stato pura magia. Ho potuto ammirare una natura rigogliosissima, aria pulita, il silenzio di sempre, un sole dal calore penetrante e avvolgente di cui non mi ero resa conto quanto fossi in astinenza. Soltanto una sete che non avevo previsto mi ha sollecitato al rientro dopo circa due ore che ero immersa in quella specie di idillio dimenticato. In verità la mia fase due è per ora una fase uno che ce l’ha fatta. Perché ho continuato a non rivedere nessuno, a non poter andare in ufficio, a parlare in silenzio...ma fuori, all’aperto, alla luce ha in sè un sapore tutto nuovo. E questo non è affatto poco anzi direi che ieri nulla è stato come i giorni precedenti.

Quello che ho capito durante questo tempo assurdo e imprevedibile è che forse la storia che l’uomo sia un animale sociale è vera ma non verissima, se penso che per noi, timidi senza il coraggio di ammetterlo, essere socievoli coincide spesso con montagne altissime di disagio da scalare, oltre al sentirci perennemente in obbligo di sforzarci di essere simpatici e brillanti, pure quando in realtà vorremmo semplicemente nasconderci sotto un tavolo. E lo stesso penserei di noi, romantici che non crediamo nelle strategie seduttive come metodo valido di “cattura” di un cuore, quando ci rendiamo prede debolissime di cinici accalappiatori o di mete non destinate a noi. Ed è sempre a noi altri che penso , quando non coltiviamo ambizioni particolari se non quella di non essere di peso ad altri, non risultare noiosi, antipatici, o di non essere tormentati a nostra volta da persone simili che ci trascinano in un baratro senza ritorno di ricatti morali, zavorre esistenziali, noia e insensatezza di contatti. Che colpa abbiamo noi se in questa condizione di semi autarchia abbiamo trovato una nostra dimensione ideale? Se ci siamo resi conto che ci è sufficiente essere animali “social”, piuttosto che sociali? Se siamo così fortunati, e forse anche un po’ interiormente forti o rafforzati, per trovare in noi stessi il gusto di andare avanti e ridurre i problemi soltanto a quelli che riusciamo a risolverci da soli?

Possiedo uno stereo che ho comprato circa 18 anni fa. Lo ricordo perché è stato un regalo che mi sono fatta col primo stipendio. Stamattina ho preso l’ultimo cd dei Led Zeppelin per ascoltarlo, ma non so per quale ragione è rimasto incastrato e non vuole più uscire. Tengo troppo a quel cd, fa parte di un cofanetto troppo figo per restare incompleto. Questo è fino ad ora il solo vero impiccio che non riesco a risolvere da sola da quando sono in quarantena. Forse romperò questo vecchio ricordo legato alla mia indipendenza economica per riuscire a salvare la cosa a cui tengo di più perché legata alla mia maturità emotiva, o magari mi sarà sufficiente smontarlo e salvare pure lo stereo. Non lo so, eppure credo che se fosse successo in altri tempi mi sarebbe dispiaciuto un po’ di più. Non tutti i ricordi meritano di essere salvati, non tutto ciò che si ha è detto che meriti di restare con noi oltre il necessario.

Credo che uscirò a passeggio anche oggi. So che non troverò nessuno neppure stavolta. E so che starò bene come ieri. A certe cose non mi abituo mai. Non mi paiono vere. Eppure lo sono

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