Sola andata

Sola andata

martedì 7 aprile 2020

Il valore aggiunto del sottrarre

Cos’altro aggiungere? Direi nulla ormai. Se un passo in avanti si può fare ormai può essere fatto giusto per sottrazione. Come si aggiorna un diario in cui le giornate si articolano nel perimetro ristrettissimo di una casa molto amata ma piccolina piccolina, che affaccia al pian terreno di un cortile anonimo delimitato da altre tredici casine?  Non so immaginare cosa stia accadendo altrove e come stia mutando lo spirito di ciascuno, man mano che i giorni passano e si consolida l’abitudine alla restrizione della libertà di movimento oltre ad una certa difficoltà nel gestire tutte le “esternalità negative” che questo fatto comporta.
Posso dire di quello che accade a me, che come sempre sono monotona, abitudinaria, appassionata di metodo più che di contenuto. Continuo a trovare naturale la mia sveglia delle cinque, l’acqua a temperatura ambiente, la quantità industriale di caffè, fiondarmi da subito sui ricordi che fb mi restituisce per questi ultimi undici anni. E poi ci sono le pagine che mi assegno la sera prima del mio libro di turno, ovviamente gli allenamenti. E, sempre ovviamente, un film o una serie. Solo adesso mi rendo conto che in tutto questo lasso di tempo mi capita anche di non parlare mai. Non una parola. Penso, faccio cose. Ma non parlo mai.

Quando cucino sperimento ricette che hanno l’ambizione di dare lo stesso appagamento della versione tradizionale ma con criteri di drastico alleggerimento: si tenta di dimostrare che il gusto e l’estetica siano pressoché invariati pur osservando un utilizzo virtuoso degli ingredienti utilizzati per la composizione delle pietanze. Funzionano.
Verso le quattordici la mia cucina viene inondata di sole e così spalanco tutto e sistemo la sedia in mezzo a tutta quella luce. Di solito ascolto musica e me ne sto in quella posizione, con gli occhi chiusi e,  credo, un sorriso ebete che il micio della mia dirimpettaia deve aver notato.

Il pomeriggio è un po’ più duro. Credo che cominci a pesarmi molto proprio il fatto di non dire mai nulla, ma lo stesso non mi viene voglia di chiamare nessuno. E così capita che mi metta a leggere un po’ di articoli e pure i commenti spesso assurdi che li condiscono. Oggi ho litigato in modo molto acceso con un signore non giovane che esprimeva giudizi intollerabili sul fatto che la Mannoia abbia un fidanzato molto più giovane di lei. L’ho fatto nero come non sarei stata capace di fare se l’avessi avuto di fronte. In fondo meglio di niente. Ma non mi presterò più a queste bassezze.

Mi sono ripromessa pure di non usare mai espressioni come “giorni sospesi” o “resilienza” e di continuare a buttar via almeno un oggetto ogni giorno.

Devo scegliere un nuovo libro da leggere tra quelli comprati da tanto tempo e mai aperti. E poi devo camminare per dieci minuti sui tacchi alti: prima d’ora non ho dato loro neppure una possibilità. Non ricordo neppure in che occasione ho comparto delle scarpe simili. Questo è stato il mio pretesto per decidere che darò vita a tutte le cose accantonate e dimenticate prima del loro utilizzo e che le terrò con me fino a quando mi avranno lasciato qualcosa di sè che mi sia preziosa per conoscere me. C’è un tipo di usura che si determina per mero non uso. E questo mi pare un gravissimo spreco. Succede anche con certe parti di noi stessi che dimentichiamo ci appartengano o che ci sembrano sbagliate senza prima riconoscerle come nostre.
Ho tutto qui. Ciò che mi resterà sarà tutto il mio necessario



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