Sola andata

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giovedì 9 aprile 2020

Una questione di Volontè

“Ho scelto questo perché ho ricordato che una volta abbiamo parlato di quanto ti piacesse la classe operaia va in Paradiso. Uno dei protagonisti di questo libro si chiama proprio Lulù”. Mi disse più o meno queste parole quella volta che, invitandolo a pranzo, mi aveva portato in regalo un libro di Pino Cacucci. Trovai molto tenere, e frutto di una attenzione e una cura non comune, le ragioni di quella scelta e non altre.

Proprio ieri quel libro mi è piombato tra le mani, in uno di quei momenti in cui mi relaziono con la mia casa con lo spirito di un esploratore. È stato così che mi sono ritrovata catapultata in quel tempo strano, ormai di un po’ di anni fa, quando frequentavo con molta assiduità la palestra vicino al mio ufficio. Quella con la sauna al piano di sotto. Ci conoscemmo così: lui aveva occupato il mio tapis roulant, o meglio, quello che io ero solita usare, essendo un po’ abitudinaria e pedante. Ne fui contrariata ma mi allenai lo stesso in qualche modo. Subito dopo andai in sauna e poi nella sala relax per riprendermi. Fu lì che lo ritrovai e cominciammo a chiacchierare senza una ragione precisa. E fu in quel momento che gli perdonai il “furto” a sua insaputa del mio attrezzo. Lo ritrovai ad aspettarmi all’uscita della palestra. Era un uomo abbastanza più grande di me, molto affascinate e semplice allo stesso tempo, che da quel momento avrebbe fatto in modo di trovare sempre del tempo per me, per tutto il periodo che io gli concessi.

Il suo film preferito era “Fino all’ultimo respiro” e quando vide la mia edizione speciale con il booklet me la invidiò molto (ma non ebbi lo stesso il coraggio di regalargliela), il suo libro più amato era “viaggio al termine della notte” e la cosa che più mi piace ricordare è proprio quella sua specie di smania nel suggerirmi cosa leggere o ascoltare. E anche la sua curiosità per la mia vita, come ero capitata a Milano, che cosa sognavo davvero. Aveva preso l’abitudine di chiamarmi durante il tragitto dal lavoro o quando fumava il suo unico sigaro della giornata perché, diceva, così univa due cose belle in una volta sola. Gli piaceva passare il tempo assieme sulla panchina vicino casa mia, a chiacchierare o anche a stare in silenzio e poi si faceva giurare sempre che non avrei mai usato la bicicletta per girare in città. Non mi fece mai mistero di essere sposato e che in fondo ciò che gli dispiaceva davvero era di non essere nè felice nè infelice con sua moglie (non ne parlava mai male nè con sdegno, ma avevo come l’impressione che non sapesse più cosa dire di lei) e io, forte del mio categorico “non desiderare l’uomo d’altre” non ambivo a successive evoluzioni di quello strano legame che un po’ mi lusingava è un po’ lo consideravo la mia piccola vita separata dal resto.
Funzionava così da quando era cominciata: lui mi cercava e io lo ascoltavo, mi divertivo, imparavo, notavo con piacere la sua attenzione ai dettagli. E poi riprendevo con le mie questioni altre, quelle in cui c’era posto solo per me.

Poi un giorno ho smesso di rispondere alle sue telefonate. Perché era giusto così.
Oggi Volontè avrebbe compiuto 87 anni. Rimane per me il più grande attore che l’Italia abbia mai avuto. Lo dico da tanto tempo. E ancora me lo ricordo bene

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