Sola andata

Sola andata

venerdì 24 aprile 2020

La realtà da mettere in lista

Alla fine ha funzionato. Come molti ho perso il conto dei giorni in cui vivo così, in questa bolla domestica in cui è facile avere il controllo di tutto perché è davvero poco quello che è rimasto da gestire. Da quando mi è stato impedito di andare in ufficio ho provato ad immaginare la mia vita solitaria e domestica con lo spirito di chi in fondo ha sempre desiderato una cosa del genere. Sapevo fin da allora che non avrei sofferto, non mi sarei annoiata, che tutto quel tempo in più a disposizione sarebbe stata l’occasione per fare meglio o cose nuove, che le ragioni di amarezza sarebbero state dettate da ragioni diverse dall’isolamento, tipo un vicino rumoroso che ho imparato a perdonare, o il suono continuo delle ambulanze, o la preoccupazione dei miei genitori che ora più che mai spingono per farmi tornare a casa (“Lucia, ma ormai che ci fai ancora lì in quella scatola di tonno, in un posto che non è più così sicuro, dove non puoi più fare quasi nulla...”).

Per quel che mi riguarda potrei andare avanti così ancora per un sacco di tempo. La mia ossessione per le liste ha pagato: ne avevo stilata una che includesse attività imprescindibili a cui mi sono scrupolosamente attenuta, e poi ho trovato il tempo per sperimentare in cucina ricette complicate o molto sane, per pensare alle persone a cui voglio bene, per riprendere interessi sopiti, per allenarmi un po’ meglio. E per immaginare cose che vorrei che accadessero ma che di fatto non stanno né in cielo né in terra e che non hanno diritto alla loro realizzazione per quanto sono campate in aria. Ed è giusto così.
La chiamano comfort zone, credo per far sentire in colpa chi non si riconosce in un consesso in cui riesce ad incastrarsi solo al prezzo di uno sforzo enorme. Per me è semplicemente l’occasione preziosa di essere se stessi senza sentirsi costretti a dare un contributo fattivo di restituzione alla società.

Ho avuto anche io dei momenti di crisi in questo periodo e sono stata felice di andare in ufficio per un giorno e starmene lì, pure stavolta tutta sola, in quello spazio familiare quanto quello di casa mia. Ho amato le volte che potevo starmene al supermercato a scegliere con cura tutto quello che volevo e camminare per tutta via Mecenate in un silenzio che non conoscevo, in un’atmosfera così rarefatta che mi sono chiesta per tutto il tempo cosa mi rendesse interessante Milano quando non era così.

Ieri, dopo una bellissima lezione on line sul cinema russo (i corsi di cinema sono un’altra delle ragioni per cui lo stare a casa non mi è penoso per nulla) mi hanno telefonato ben due dei miei compagni dei tempi in cui quei corsi li seguivo “in persona”. Mi hanno chiamato a distanza di un paio di minuti l’uno dall’altro e mi è sembrata una coincidenza assurda e simpatica. Mi è parso di capire che per loro l’isolamento è invece davvero molto duro. Ho lasciato che mi raccontassero la loro condizione, i problemi e le difficoltà che io non ho e neppure potrei immaginare di poter risolvere. Mi sono resa conto che a parità di condizioni la vera differenza la fanno il carattere e lo spirito di partenza. E poi che, forse, i problemi che ti trovi a gestire sono spesso quelli che arrivano a causa di carattere e spirito di partenza. No, questo credo sia vero solo in minima parte.

Ma che ne so, io sto ancora abbastanza bene in questa strana condizione di autenticità spontanea e le sole paure che ho sono le modalità con cui affronterò il ritorno alla situazione precedente, quando rimetterò in conto anche la possibilità di un incontro - ma purtroppo anche il contrario - e quando la lista delle cose da fare si aggiungerà a quella delle cose da sopportare, quando l’immaginazione non si accontenterà più semplicemente di se stessa ma avrà pure pretese di realizzazione.
E poi soprattutto, chi lo sa se il mio primo pensiero del mattino e l’ultimo della sera continuerà ad essere quello attuale, oppure, ragionevolmente la smetterò anche stavolta.

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