Sola andata

Sola andata

martedì 5 luglio 2016

E la chiamano estate. E tu? Come chiami la tua?

E alla fine pure l'estate ha deciso di farsi viva. Secondo me pure lei si è stufata di arrivare in giorno e mese comandato e a temperature medie prestabilite. Anche io ad un certo punto mi sentirei offesa se ad ogni mio arrivo sento un Tg che mi chiama bella stagione e poi snocciola una serie di raccomandazioni sempre uguali sul bere tanto, non uscire nelle ore più calde...e la frutta e la verdura...ma bella stagione di che!?  Ad un certo punto credo che abbia pensato che se la chiamiamo estate sarà per altri elementi di riconoscibilità, diversi per ciascuno di noi.

Io vedo l'estate nel mio radicale cambio di abitudini: ho trascorso un inverno di sveglie alle cinque e allenamenti antelucani, nessun viaggio da troppo tempo, troppo tempo perduto a cercare e comprendere chi non voleva essere né cercato né compreso, poco esercizio interiore...
E la mia estate coincide con la scoperta di queste magnifiche corse di gruppo, con i risvegli meno traumatici ( pure se sempre molto molto mattinieri. L'alba è un momento imperdibile di qualsiasi stagione), e poi un piccolo preziosissimo viaggio, e poi il ritorno al gusto di star soli senza la retorica "del sarà quel che sarà", potrà anche non essere mai e sarà ugualmente fantastico lo stesso.

Io me lo ricordo. Mi ricordo che sono sempre stata così, pure da piccolissima: sorridente, solare, maldestra, spiritosa. Ma solitaria. È una condizione che percepisci da subito, pure se non sei orso, pure se gli altri spesso ti piacciono tantissimo. Ma senti che quella cosa là, di ritagliarti il tuo tempo, come una specie di seghettatura dei crackers, e staccarti appena ne senti il bisogno, beh, di quella cosa tu lo sai benissimo che non puoi farne a meno. Forse rappresenta quella parte di stagione che non passa mai, quel tiepido inverno in cui mi rintano con la mia perenne copertina di Linus. Credo che la mia preparazione all'estate stia tutta lì, in quei silenzi rammaricati, negli obiettivi troppo mobili, in quelle ferite che mi piace curare male perché è nel dolore sopportabile che ritrovo linfa nuova per immaginare altre vie, che sennò poi va a finire che dimentico troppo presto e il rischio è sempre quello di perdonare troppo in fretta. Le stagioni servono a questo, a fissare le sensazioni in un tempo esatto e necessario a farlo.

Tra mezz'ora mi vedrò con i ragazzi per correre tra le strade belle di Milano, tutti assieme assieme per otto chilometri. Di solito chiacchieriamo e ridiamo e ci incoraggiamo. E io mi sento divinamente con loro. Non mi mancano gli allenamenti in solitaria e lavoro molto meglio e molto di più. Poi forse ceneremo assieme. E sarà ancora giorno. Perché è estate. Non solo dentro di me.

Nessun commento:

Posta un commento