Sola andata

Sola andata

mercoledì 9 dicembre 2015

Love marks

Se dovessi pensare alla cosa di cui ho fatto a meno per molto tempo e tanto malvolentieri non avrei dubbi. È lo zaino. Io l'ho sempre portato a due spalle, me lo ritrovo sempre troppo pieno di cose che vengono ovunque con me, ma che alla prova dei fatti non mi servono mai, ingombrano e pesano, ma poi restano nello zaino per così tanto tempo che mi dimentico pure di avercele messe io. Tutto è cominciato con un invicta, come per molti della mia generazione, che ho instancabilmente portato per tutti gli anni di liceo, c'ho scritto sopra così tanti stati d'animo che potrei mettere insieme un intero romanzo di formazione, l'ho sfondato e rattoppato, c'ho fatto disegni, appeso ciondoli, ricamato chissà cosa. Alla fine dei cinque anni non era più uno zaino, era l'allegoria di un reduce dal Vietnam.
Ora riposa meritatamente in un armadio col patto di non essere riaperto mai più dal giorno della maturità.

All'università mi sono adeguata, come un po' tutti a quei tempi, alla Roncato, una tracolla verde scuro che non ho mai sentito veramente mia, molto comoda, funzionale, robusta...ma non siamo mai entrate in vera intimità. Non so che fine abbia fatto, come del resto non so cosa sia davvero stato di me in quegli anni là...
Quando ho smesso di avere necessità di contenitori per testi e altri strumenti di studio, mi sono imposta, o forse in quel momento sentivo di volerlo davvero, delle borse piuttosto eleganti, rigorosamente griffate, che restituissero una personalità ormai matura, che non richiedessero troppe cose da portare, che quelle di sicuro sono il sintomo chiaro di profonda insicurezza, paura dell'imprevisto e bisogno di controllo. Quello è stato il periodo delle gonne, le calze velate, le scarpette eleganti, i vestitini, persino il rossetto rosso...tutto molto bello quanto lontano da me anni luce, o meglio, tutto molto divertente e piacevole, funzionale al bisogno di conferme che avevo all'epoca, ma se non ti appartengono, è inutile, in quei panni non ci resisti molto a lungo.
Col tempo ho adottato un equo compromesso tra la mia anima freakketona/
zingaresca e uno stile più decoroso e femminile. È arrivata la Desigual e ho risolto
molto felicemente il mio look di ultratrentenne che vuole fare come tutti gli altri ma le riesce ancora malissimo.

E cosi, dopo giri immensi, lo zaino è stato il mio vero, inevitabile ritorno alle radici, a quello che sono nel più profondo di me e che nessuna borsa potrà mai rimpiazzare.
Da qualche anno ho uno zaino North Face con cui ho immediatamente stabilito un rapporto d'amore, nonostante lo indossi spesso a sproposito e financo su cappotti eleganti (una volta un amico mi accompagnò in un posto un po' istituzionale e mi fece notare questa cosa per la quale provai un forte imbarazzo. Aveva ragione più che ovvia e io non ci avevo fatto proprio caso...).
Lo zaino è  la mia nota imprescindibile e, in quanto tale, spesso quella più stonata. Come ai tempi del liceo ci metto dentro qualunque cosa, la gran parte ignota pure a me stessa e certamente inutile. È il fardello a cui non so rinunciare, è il mondo che mi porto dentro/dietro/addosso, è la mia copertina di Linus. È il mio perenne senso di inadeguatezza.

Oggi è morto il fondatore di Noth Face. Ambientalista convinto,  si è ribaltato col suo kayak. Mi è dispiaciuto di un dispiacere adolescenziale, in quella maniera inopportunamente amplificata con cui ci si dispiace a quell'età in cui le spalle non reggono ancora bene nessun peso. Quando l'ho saputo avevo il suo zaino sulle spalle. Ho avuto l'impressione che fosse ancora più pesante del solito. Domani lo svuoto.

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