Sola andata

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venerdì 18 marzo 2016

"Ti assicuro che...". Ma...anche no.grazie"

Nella seconda metà degli anni novanta il mio tempo fu speso a raccapezzarmi con grande fatica su ostici testi di economia. Siccome non capii proprio da subito come fare, il mio primo esame di macroeconomia l'ho ripetuto tre volte. Poi ho cominciato a capirci qualcosa e con quel prof., che fu causa di tanti tormenti e frustrazione, poi c'ho fatto la tesi, un anno di master e un intero percorso di dottorato. Questo non vuol dire che ora ci capisca alcunché di economia, però rimane una cosa con cui ho fatto i conti...ma così tanti conti...che se dovessi pensarmi a rivivere quegli anni forse rifarei la stessa scelta pur sapendo che sbaglierei per la seconda volta.

Una delle questioni che più di tutte mi sono rimaste impresse del dibattito economico è quella sulla propensione al rischio. Siamo uno dei paesi con la più alta percentuale di giocatori d'azzardo, con picchi di dipendenza e gravità patologica, ma contemporaneamente siamo uno dei popoli che tende maggiormente ad 'assicurarsi" cioè ad abbattere il rischio e l'incertezza su qualsiasi imprevisto immaginabile. In altre parole siamo gente che tenta continuamente la sorte, le svolte, il cambiamento radicale, e contemporaneamente siamo quelli maggiormente spaventati dal futuro, dagli imprevisti e dai rischi non controllati. Credo che ogni crisi di Paese si misuri in modo abbastanza attendibile con l'osservazione di corto circuiti di questo tipo.

Io temo in ugual misura entrambe le categorie. Sono convinta che ogni euro speso per invocare la buona sorte sia un euro buttato e allo stesso modo mi infastidisce qualsiasi forma di assicurazione (credo che sia il motivo principale per cui non ho più la macchina), perché il futuro è incerto e tale voglio che rimanga, perché i problemi non me li voglio anticipare pure se non è detto che accadano davvero, perché immaginare che la casa bruci, che vengano i ladri, che avrò una causa di lavoro, che mi ammalerò...mi intristisce e mi fa fare gesti apotropaici.

Io credo che tra l'azzardo accecante e una scarsa propensione al rischio ci sia la capacità di ciascuno di gestire il proprio presente e di immaginare il proprio futuro senza averne una paura insensata o assumendo una eccessiva cautela che annulla ogni sorpresa e iniziativa creativa.

Ma perché dico questo? Perché volevo dire un'altra cosa ma mi vergogno...ma no, poi magari la racconto lo stesso, perché comunque era in tema. Aveva a che fare con la voglia di osare per la necessità di comprendere, riguardava l'azzardo e il rischio di sapere davvero come stanno le cose, pure se nel momento in cui decidi di farlo sottoscriveresti volentieri un'assicurazione che ti protegga il cuore da ogni ragione e soprattutto da ogni infame dolore .
Avrei raccontato di quella strana alba di un S.Valentino senza Cupido che mi costrinse a guardarlo negli occhi per dieci lunghissimi secondi, col rischio di avere quella certezza che non cercavO, con la necessità di perdonarlo di non volermi come io avrei voluto lui, con l'occasione perduta di non avere più il privilegio della speranza e dell'attesa perché è ormai tutto troppo chiaro, senza alcun rischio ma neppure necessità di assicurarmi condizionandomi ad un futuro che non più essere quello mio.

Mentre scrivo ascolto una storia incredibile su radio due in una trasmissione stupenda che si chiama Pascal. È la storia di una amore che è durato tutta una vita senza mai essere stato consumato. Lui non ha mai smesso di cercarla, a distanza, fino a ottant'anni. Lei si è sposata, ha avuto una famiglia, ha sempre saputo della sua presenza, ma niente di più...una specie di "Amore ai tempi del colera" e a me viene tanto da piangere.

Io non lo so quanto conti davvero la quantità di propensione al rischio nella vita di chiunque, quanto abbia senso sfidare la sorte o tentare di proteggersi con tutte le possibili cautele. So per certo che al cuore, di tutto questo, di meno non può fregare.


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