Sola andata

Sola andata

giovedì 19 gennaio 2017

"Dopo l'amore" ...io riassumo le puntate precedenti

Come si fa a raccontare una giornata normale quando in un luogo che è stato pure casa tua per un paio d'anni si consumano tragedie di cui non si riesce a contenere la portata? Terremoto, tempeste di neve, crolli di edifici per valanghe...io davvero non so quali siano e se esistano parole non banali o inutili per esprimere sconcerto e infinita pietà. Forse non ce ne sono ed è meglio che me ne stia zitta augurandomi che in futuro queste situazioni siano vissute come in Giappone, dove le case sono fatte in maniera che manco te ne accorgi che la terra non è ferma.

Per la mia di giornata, invece, riesco ancora a trovare parole a scopo ricerca di senso e di ricordi significativi. Subito dopo pranzo sono uscita dal lavoro per vedere un film che aspettavo con ansia. Si chiama "dopo l'amore" ed è un film francese che racconta la gestione pratica di una vita familiare in cui l'amore tra i coniugi è finito, o forse è semplicemente tutt'altro da ciò che era e per questo appare spiazzante, teso, incomprensibile e ingestibile. Alla fine del film non ho potuto fare altro che pensare che dopo l'amore non può che esserci ancora amore, se tale era stato prima. È solo da poco tempo che ho scoperto che l'etimologia della parola amore è "senza morte" e quindi non può esserci un dopo per una cosa che non muore mai. Il vero motivo di rottura dei due protagonisti, la vera causa della discordia, è quel tetto che hanno condiviso, la gestione comune dei problemi e delle responsabilità. Basterà loro divorziare per tornare ad amarsi come si deve...ma questa in realtà è soltanto una mia intuizione non espressa in modo inequivocabile nel film. E io in realtà che cavolo ne posso sapere.
Devo dire che, a prescindere dalle mie personali interpretazioni, questa è materia che i francesi trattano sempre da veri maestri e così, pur senza toccare le vette di Romer e Truffaut, me ne sono uscita dal cinema abbastanza triste e sconsolata proprio come temevo e, in fondo, volevo.

Nel pomeriggio mi ha contattato in chat un amico che non vedo da un po' ma a cui voglio tanto bene.
Mi ha divertito perché mi ha detto che aveva voglia di leggere un mio nuovo post, ma io non avevo ancora aggiornato nulla, e poi persino chiedermi chiarimenti su alcuni dei precedenti. Mi ha fatto un po' ridere questo uso da soap opera delle mie povere esperienze personali, pur sempre frutto di una vita irrimediabilmente normale, solitaria, spesso buffa, e ancor più spesso di bassissimo profilo.

 Io scrivo, ma mica lo so chi legge poi che cosa pensa davvero, in che modo intende le cose che dico, se si diverte o prova a riflettere secondo i miei stessi codici, o semplicemente è curioso di sapere dove vado a parare, quante volte perdo, come affronto il dolore e la gioia, se riesco a tradurre in atti le mie intenzioni.

Io scrivo senza essere una scrittrice o una giornalista, senza fare altro nome che il mio, provando a non colpevolizzare (quasi) nessuno e a elaborare la mia serie infinita di paure e di ansie ricostruendo la trama del mio quotidiano.
Io scrivo perché mi intenerisce che un amico, ad un certo punto, mi contatti e mi chieda riassunto e approfondimenti delle puntate precedenti.
Per tutto il resto suggerirei il cinema d'autore.







Nessun commento:

Posta un commento