Sola andata

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martedì 15 settembre 2015

La saggezza giapponese coi cocci miei

Oggi pomeriggio ho rivisto l'amica che mi aveva combinato quel l'incontro al buio con il ragazzo business oriented che avrebbe voluto vedere al mio fianco. Mi ha detto che mi saluta tanto e poi mi ha chiesto se quella sera ero stata bene. Che carina. Se fosse stata la scena di un film di Ozu sarebbe stata perfetta....

Ho distribuito inviti gratis per Expo a un sacco di persone...se a qualcuno interessasse si facesse un giro su radio 24 che Smart city lab ne ha in dotazione parecchi. Buona fortuna se ci tenete ad andare :)

La sai tu quella cosa che in Giappone quando un piatto è sbeccato si sottolinea la linea della spaccatura con un tratto d'oro, a significare che il valore delle  cose ferite e in qualche modo risanate è superiore a quello delle cose intatte? Dalle nostre parti la metafora del piatto sbeccato è esattamente opposta. Un piatto rotto, riparato pure come si deve, rimane un piatto rotto e cioè disarmonico, imperfetto, ormai non adatto all'uso.
Mica lo so quale teoria mi convinca di più.
A me le ferite fanno sempre male, pure quando si sono rimarginate. Ci sono delle lacerazioni che sono diverse dai tagli netti, sono fatte di consuzione, di mancanze e frustrazioni che non sono vere e proprie ferite, non hanno contorni definiti. Non ci puoi passare lo smalto sopra.

Vero è che alla fine te ne fai una ragione e così smetti di rimanerci male, di stupirti o di offenderti. Perché poi la gente che lo fa diventa prevedibile, scontata e persino divertente. Ma niente è come prima o come volevi che fosse o come speravi e immaginavi.
E quella che pensi sia una ferita alla fine è poco più che un'abrasione...e manco merita una passata di oro...

Non lo so i giapponesi di quali preziose ferite parlassero. I miei piatti occidentali si rompono così presto che mi conviene molto di più buttarli nell'immondizia


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