Sola andata

Sola andata

martedì 29 settembre 2015

Vivere...per raccontarsela

Se funzionasse davvero non ci penserei due volte. Mi metterei seduta nel mio angolino creato apposta, con la finestra a destra della scrivania, la musica a volume basso basso, i fazzoletti per tirar fuori tutte le lacrime necessarie. E cominciare.
Scrivere ha il potere tutto magico di aiutare a strutturare il pensiero fino a dargli la forma che ti serve per visualizzarlo meglio. Questo esercizio ha maggiori probabilità di riuscita se parti dall'idea che non sei Calvino e che ti devi accontentare di raccontare te stesso senza alcuna ambizione letteraria. È un'altra cosa, più vicina all'esercizio terapeutico che a quello narrativo.

Ci sta una faccenda della mia vita che mi procura un sacco di dolore e di cui mai e poi mai potrei trovare il coraggio di parlare qui. Nessuno può farci niente, nessuno ha colpe, ma sono di quelle cose che capitano e che non puoi scegliere se volere o no. Le accetti per quelle che sono, ma solo perché in realtà non hai alcun potere di decidere come vorresti che fossero davvero. Ok, faccenda chiusa. Ci sta poco da discutere o da capire meglio.

 Una volta mi trovavo nello spogliatoio di una palestra frequentata anche da bambini piccoli. Le loro mamme venivano nello spogliatoio ad aiutare le bambine a prepararsi. Lo spogliatoio era fatto in modo che i posti per sedersi fossero disposti in parallelo, per cui ogni bambina se ne ritrovava un'altra di fronte. Come credo chiunque avrebbe fatto, rimasi rapita da una bellissima bambina bionda, di quelle da stereotipo con i boccoli, le guance rosa, gli occhi chiari. Sua madre era altrettanto bella e nel dettaglio della loro intimità ne veniva fuori una scena deliziosa. Esattamente di fronte a loro ci stavano un'altra mamma e un'altra bimba, quest'ultima con gravi difficoltà motorie. La sua mamma, meno giovane di quella di fronte a lei, la aiutava a vestirsi. Io ero a poca distanza da entrambe e ricordo perfettamente cosa provai quando mi resi conto di questo assurdo e stranissimo contrasto
speculare. La cosa che davvero mi colpì fu l'imbarazzato silenzio della mamma e della bimba belle. Nessuno aveva colpa di niente per quella strana manifestazione di sorti contrapposte.

 A me piace chi è bravo a sviluppare una visione trasversale dei fenomeni, trovo molto consolatorio credere che quelle erano prima di ogni cosa due donne che avevano accettato la scommessa della vita col suo patto incognito. La scelta della maternità prescinde dalla perfezione della vita che si genera. È solo il Caso, o se si vuole la Necessità, a decidere il criterio distributivo delle gioie e dei dolori della vita che decide di aggiungersi. Se così è, non rileva quanto un figlio sia biondo e sano e bello.

 Sarà così. Ma io di quell'immagine e di quel silenzio commosso non mi sono scordata mai e pure adesso che lo scrivo, non so bene se a scopo terapeutico o cos'altro altro, mi viene ancora da piangere.

 Intanto sta passando alla radio una delle canzoni sceme di Jovanotti e mai come in momenti come questi mi viene da pensare che lo sforzo di comprendere proprio tutto abbia sempre qualcosa di
profondamente meschino






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