Sola andata

Sola andata

sabato 25 luglio 2015

Da cosa nasce casa. Uno strano caso

Ho comprato la casa in cui abito con la stessa leggerezza con cui si aspetta il proprio numerino alla fila dei salumi. Non per spavalderia e neppure per atteggiamento superficiale su uno degli investimenti più delicati e carichi di significato che si possano fare nella,vita. Però avevo le idee molto chiare: volevo una casa tutta mia, volevo che fosse a Milano, non volevo che costasse troppo, non volevo fare una ricerca troppo affannosa e lunga.

Sono stata in affitto soltanto tre mesi, durante i quali non ho fatto altro che lavorare e girare per quartieri a vedere case. Così ho conosciuto la città. Così mi sono fatta un'idea veloce ma abbastanza precisa di cosa avevo davvero bisogno.
 Poi un giorno, per puro caso, capito nel posto in cui poi sarei rimasta. Leggo un foglietto sbiadito su un cancello, chiamo, prendo appuntamento, un adorabile ultra ottantenne mi fa vedere questo piccolo, vuoto bilocale, al pian terreno di un cortile come se facevano nella metà del secolo scorso. Tratto con la figlia e suo marito. Compro il mio nido, che...si...in effetti è a Milano, ma così in periferia che se allungo un poco di più la gamba sono già a Peschiera Borromeo. Ma mi sta bene anche così, il quartiere mi piace, è collegato bene col centro, e con gli anni è diventato sempre più curato e suggestivo. Niente preliminaridi vendita. Mi faccio consigliare un notaio da un collega. La casa diventa mia.

Era gennaio, niente riscaldamento. Solo il letto e il microonde. Vivrò così per quasi un mese, durante il quale passo tutto il mio tempo libero all'Ikea e a montare i suoi mobili, dopo che un collega gentile mi aveva accompagno in un posto dove si vendono cucine a prezzi modici e te le vengono pure a montare. Con gli anni ho fatto lavori di soppalco, di isolamento termico, armadio a muro, ardite ritinteggiature dallo spirito freakkettone, e tutto quanto la facesse diventare sempre più somigliante a
me, oltre che più funzionale e accogliente. Ho imparato a riconsiderare l'idea di spazio e di cose necessarie, come solo un luogo molto piccolo può importi di fare. Ho capito il vero significato di accoglienza, di intimità domestica, ma pure quello di predisposizione all'ospitalità, con miei tre posti letto in più.

Nel ripercorrere così velocemente il ricordo di un passo così importante, fatto con la solita smania che mi contraddistingue proprio nei momenti in cui, pare, si debba riflettere con cautela, ripenso al mio amico incontrato stamattina, che non vive più a Milano e sta per vendere la sua bella casa di Corso Buenos Aires. Mi sono venuti i brividi a pensare che potrei dover fare pure io una cosa del genere.

Non so quanto davvero riuscirei a separarmi da una cosa che è ormai così parte di me, di quello che
anche grazie a lei sono diventata, delle persone che l'hanno vissuta anche per poco, di quelle che ne
hanno visto solo il cambiamento, dei miei allenamenti delle cinque del mattino, del micino che mi ha rotto tutti i soprammobili (cosa per cui in fondo lo ringrazio), della mia cucina etnico-sperimentale, delle incomprensioni poi chiarite con la dirimpettaia, delle riunioni multilingue a casa del vicino di buona
volontà....

No. Non è perché questa sia casa mia. È che sono io ad essere sua. Sarà lei a decidere se e quando darmi via.

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