Sola andata

Sola andata

lunedì 11 maggio 2015

questa è la mia strada. L'uscita

Pregusto già da qualche giorno il momento in cui tornerò in ufficio. Manco da un tempo incalcolabile e sarei una bella ipocrita se dicessi che non ne ho ricavato un beneficio molto più che proporzionale alla sofferenza di una operazione e ai disagi di una casa in ristrutturazione.

Non amo il mio lavoro e non ne ho mai fatto un segreto. Lo benedico, ne colgo il valore incommensurabile che rappresenta oggi più che mai, sia concettualmente che pragmaticamente. Ma non lo amo. Non favorisce in alcun modo la mia crescita individuale. Non mi appassiona. Non mi interessa. Lo faccio. Non perdo tempo alle macchinette del caffè , non mi nascondo in bagno, rispondo sempre a telefono, chiamo sempre per l'attività di sportello, cerco di portare a termine tutto quello che mi si dice di fare....
 Ma la vera liberazione è la fine della giornata di lavoro. È così da sempre. Non è una cosa che mi è venuta dopo anni di lavoro. È una smania  da "dopolavoro" che ho sviluppato dalla prima ora del mio primo lavoro.

Eppure per me non può che funzionare così. È una cosa che ho imparato ad accettare fin da subito. Il paradosso che mi accompagna è che io in realtà vivo per lavorare. Non il contrario. Io vivo principalmente per quel l'attesa compressa da un tempo che non mi da scelta, perché altrimenti niente del tempo che mi rimane riesce ad acquistare lo stesso sapore.

Forse è per questo che in realtà non vedo l'ora di rientrare in ufficio.
È insopportabile la mancanza di quella benedetta, salvifica, "proiettiva" timbratura d'uscita

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